8.
Il ritorno dei detective

— È inutile che vi annoi con particolari che avremo tempo di discutere nei prossimi giorni — continuò il figlio della signora Barduchon, quando i mormorii che avevano seguito la sua ultima dichiarazione si placarono. — Anche perché l’ora si sta facendo tarda e due dei nostri... membri... domani dovranno andare a scuola molto presto.

Annette e Fabò sorrisero, imbarazzati. Cosa stava cercando di dire quello stravagante di Barduchon?

— Vi basti sapere che siamo arrivati a Darbon e ai suoi eredi grazie all’abilità di Lalou con il computer. Non è vero?

— Oh, no. È stata una cosa da niente. Basta sapere usare Google nel modo giusto e poi... avere un po’ di pazienza.

— E il risultato della nostra pazienza è stato che... Darbon non ha eredi.

— E chi paga, allora, le rate condominiali?

— Lui stesso.

— Allora è vivo?

— Impossibile! Avrebbe più di cent’anni!

— Credo di aver ascoltato anche troppo, signori! Io volevo solo fare una partita a carte, questa sera, mentre...

— Si plachi, Victor! — lo interruppe Janvier. — Lasci continuare il ragazzo. Questa faccenda comincia a interessarmi.

— Se pensa di trovare un rimedio all’età, avvocato, credo di doverla deludere... — riprese il buon Barduchon. — Ma di certo c’è qualche aspetto legale che potrebbe interessarla. Allora, signori, è evidente che il detective Darbon è morto, e lo è da molti anni. Ma... ci ha lasciato un testamento. Un testamento regolarmente redatto a mano e firmato da due testimoni, nonché da un avvocato dello studio legale Legrand & Lacroix.

— Lo conosco! — esclamò Janvier. — È uno studio legale antichissimo e prestigioso.

— Per l’appunto. Uno studio legale che prospera ancora oggi e a cui Darbon lasciò l’amministrazione dei suoi capitali e tutte le istruzioni su come gestirli. Tra le varie voci, ce ne sono due che ci interessano...

— Vorrà dire forse che interessano lei, Barduchon si inserì Victor, acido.

— No, no. Intendo dire esattamente quello che ho detto. La prima istruzione di Darbon è l’obbligo di pagare ogni spesa che derivi da questo appartamento, senza discutere.

— E questo spiega come e perché fossero sempre in pari con i conti — osservò Annette, meritandosi un’occhiata da parte degli altri adulti seduti al tavolo.

— Esatto, mademoiselle Gaillard... — sorrise il figlio della signora Barduchon.

— Mademoiselle Gaillard! — la sfotté all’istante il fratello, ridacchiando.

— ...Mentre la seconda istruzione è decisamente più interessante — continuò l’antiquario. — Ora, voi conoscete bene, chi più chi meno, la mia passione per le storie di investigazione. Da buon fanatico collezionista, possiedo pinzette per raccogliere gli indizi, bastoni animati, ombrelli ricetrasmittenti, microspie degli anni Cinquanta, manuali di difesa personale e di tecniche di pedinamento a distanza.

— Averlo saputo prima! — esclamò Annette, sottovoce.

— Ma non sono certo il solo ad avere questa passione per il mistero... — continuò il figlio della signora Barduchon facendo dardeggiare lo sguardo sui presenti. — Mia madre ha letto tutte le avventure di Sherlock Holmes, di Miss Marple, di Philo Vance e di altri detective di mezzo mondo prima ancora che io nascessi. Sa carpire voci e confidenze come nessun altro qui nella zona...

— Dimentica quell’impicciona di mia moglie — disse l’avvocato, facendo ridere tutti.

— Ed ecco poi il signor Janvier — proseguì Barduchon rivolgendo lo sguardo a colui che aveva appena parlato. — Inutile sottolineare qual è stato il suo lavoro fino a pochi mesi fa, e quanto la sua vita sia legata al mondo del crimine. Janvier conosce gli aspetti legali, le procedure, gli avvocati e i giudici meglio di chiunque altro in tutta la città.

— Suvvia... che esagerato... signor Barduchon... — si schermì il vecchio principe del foro. Ma Barduchon era ormai un fiume in piena.

— E non è finita qui, amici. Tutti voi conoscete le doti di Victor. Ma, forse, pochi di voi sanno che, prima di diventare un postino del glorioso sistema postale francese...

Il signor Cormolles si alzò di scatto in piedi. — Non ci provi, Barduchon!

Il giovane lo invitò a sedersi con un gesto della mano e continuò: — Il signor Cormolles ha avuto modo di lavorare... diciamo... con il mondo più oscuro e sfuggente della nostra città. Il mondo di quelli che... agiscono di notte!

— Altri tempi, altra vita — replicò l’interessato tornando a sedersi, scuro in volto.

— Poi c’è Lalou... — riprese il figlio della signora Barduchon. — Pochi sanno usare il computer come lui. Ma, soprattutto, pochi hanno la sua capacità artistica e una mente matematica così brillante.

Lalou guardò implorante i due fratelli Gaillard, come per dire: «Non fate parola dei miei ultimi voti!».

— E, infine, i due giovani Gaillard. I più attenti lettori di gialli che abbia mai conosciuto, nonché i figli del commissario capo e della signora Valentine — aggiunse con un impercettibile sospiro.

Seguì un lungo momento di silenzio, che venne puntualmente rotto da Victor.

— Va bene, leggiamo tutti King Ellerton e ci piacciono le storie poliziesche, ma non riesco a capire perché ci troviamo riuniti qui, in casa di un detective morto da più di un secolo.

— Per una ragione molto semplice, Victor. La seconda condizione indicata nel testamento di Darbon è che questo studio, nonché le altre stanze dell’appartamento, l’archivio, i libri e le attrezzature del grande investigatore possono essere usati liberamente da qualunque altro detective ne faccia richiesta!

— Barduchon... — fece il vecchio Janvier sgranando gli occhi.

— Non starai dicendo che... — gli fece eco Annette con uno scintillio negli occhi.

— Nooo! — gracchiò Victor.

Il giovane Barduchon uncinò le tasche del suo panciotto con i pollici e, con uno sguardo compiaciuto, passò in rassegna le facce stupite dei presenti. — Proprio così, signori. Siete stati convocati qui questa sera per costituire... —. A quel punto il giovane fece un gesto in direzione della madre.

Da una tasca del vestito della signora Barduchon uscì la cartellina gialla che il figlio aveva consultato il giorno prima. Lui ne sfilò rapidamente un foglio, se lo ficcò in tasca e passò gli altri ai presenti.

Le voci si sovrapposero, confuse.

— Il Club dei sette detective?

— Il Club del brivido?

— Il Gruppo dei segugi?

— La Società investigativa vicolo Voltaire?

Tutti furono d’accordo sul fatto che ci volesse un nome migliore.

Il figlio della signora Barduchon, fino a quel momento padrone della scena, cominciò ad accusare un certo imbarazzo.

— Ah, ecco... Erano solo i primi tentativi... mi pareva che suonassero bene...

— In che pagliacciata ci vuol coinvolgere? — tornò alla carica Victor.

— In pratica... Barduchon... Lei ci sta chiedendo di fondare una specie di... società di investigatori dilettanti? E di usare questi locali come sede del gruppo? — domandò Janvier, un po’ più conciliante.

— Una cosa del genere, sì — annuì il giovane, lasciandosi finalmente andare su una poltrona.

Si scatenò un finimondo di parole.

Annette e Fabò erano talmente emozionati da quella novità da non riuscire quasi a parlare. Seguivano la discussione e intervenivano quando sembrava loro opportuno.

— Io dico: a patto di non renderlo noto agli altri del palazzo, mi sembra una buona idea — concluse a un certo punto l’avvocato Janvier.

Quella dichiarazione fu così inaspettata che tutti si zittirono.

— Una buona idea con un pessimo nome — osservò Lalou.

— Il nome si cambia, ma il resto... questo studio incredibile... con tutti gli strumenti di Darbon, e quelli collezionati dal giovane Barduchon... Perché no, dopotutto? Siamo persone intelligenti. C’è chi ha più esperienza e chi meno ma... Potremmo essere una bella squadra! — concluse l’avvocato, entusiasta all’idea di tornare in pista.

— Mitico Louis! — gli fece eco Fabò, come se il principe del foro fosse stato un suo compagno di calcetto.

Annette guardò il fratello: solo lui poteva rivolgersi in modo così sfacciato alla colomba bianca in persona!

— E poi... che male possiamo fare? Dopotutto siamo dei semplici... appassionati. E Barduchon ha ragione: abbiamo competenze che si sposano bene tra loro! concluse Janvier, con la verve dei bei tempi.

— E abbiamo anche una torta da mangiare, quando avremo finito di discutere! — ricordò la signora Barduchon.

— Ma perché tenerlo nascosto agli altri del palazzo? — domandò Lalou, che detestava i sotterfugi.

— Ci eviterà complicazioni. E poi a nessuno piace abitare nello stesso palazzo in cui c’è un club di bizzarri amanti del mistero. Ne va anche della nostra credibilità — rispose Janvier, divertito.

Sembrava che fosse sua l’idea del club, per come la difendeva.

— Sono d’accordo! — disse Fabò. — Se la mamma lo sapesse, ci impedirebbe di partecipare.

— Fabò ha ragione — convenne Annette. — Già tollera mal volentieri quando chiediamo al papà delle sue indagini al lavoro...

Victor cominciò a passeggiare avanti e indietro davanti al camino. — Un club del mistero, dite...? In cui dovremo sempre entrare dalla cappa del camino?

— Naturalmente no. Ho le chiavi di casa — rispose il figlio della signora Barduchon. — Ma mi sembrava più suggestivo, per questa prima riunione...

— Senza contare che dalla cantina si dà meno nell’occhio... — aggiunse Lalou.

— E che tra un mistero e l’altro possiamo sempre farci una partitina a carte senza scocciatori... — ridacchiò la signora Barduchon.

— Io voto per entrare sempre dalla cantina! — disse Fabò, a cui i passaggi segreti erano sempre piaciuti un sacco.

— Mi spiace, ma il mio cappotto vota per una sana, normalissima porta — replicò l’avvocato Janvier.

— Un club del mistero! — si lamentò ancora una volta Victor. — Mi volete dire a cosa serve fondare un club del mistero, se non c’è un mistero da risolvere?

— A dire il vero... — sorrise allora il figlio della signora Barduchon guardando i due giovani Gaillard. — Il mistero ci sarebbe. Con tanto di doppio omicidio al veleno e principale indiziato che per poco non viene investito da un’automobile pirata. Ho detto bene, ragazzi?

Annette e Fabò si sentirono le labbra e la gola secche per l’emozione. Fu Fabò il primo a trovare il coraggio di parlare davanti a quel piccolo pubblico. — Sì, hai detto bene. Come ti ho già raccontato oggi pomeriggio... è successo tutto molto rapidamente. Mia sorella e io eravamo seduti al nostro tavolino del Petit Canard, quando questo tizio, Deloffre, ha cominciato a sbracciarsi...

 

I due ragazzi raccontarono con dovizia di particolari tutto quello che era successo, mentre gli altri li interrompevano, di tanto in tanto, per fare alcune domande. Tutte molto puntuali.

Il figlio della signora Barduchon li guardava soddisfatto, e intanto prendeva appunti su un foglio, su cui aveva già scritto: Parigi, vicolo Voltaire n. 11. Club provvisoriamente senza nome. Protocollo n. 1: “Il caso della bottiglia di sidro avvelenato”.

Quando ormai erano le dieci e mezzo e i ragazzi dovevano scappare, domandò: — Allora, che cosa ne pensate?

— Se Annette e Fabò sono d’accordo, domani potremmo andare già a parlare con qualcuno in tribunale — disse il principe del foro.

— E io ho un paio di persone da contattare al mercato — annunciò la signora Barduchon. — Rue Charlot... mi pare di conoscere una sarta che ha il negozio lì.

— Io cerco informazioni sui padroni di casa — decise Lalou.

— Quindi è un sì? — domandò trepidante il figlio della signora Barduchon.

Era un sì.

Anche il postino Victor, seppur sbuffando, aveva annuito con un cenno del capo.

Il club del mistero di vicolo Voltaire, qualunque nome avesse, era appena stato fondato.

I gialli di vicolo Voltaire - Un bicchiere di veleno
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